Oltre confine arriva il 56% della produzione dei pastifici italiani. Torna a crescere la Russia, ma a trainare l’export è ancora l’Europa. Francia, Regno Unito e Germania in testa
Anche all’estero si inizia a mangiare la pasta alla maniera italiana. Al dente, con condimenti mediterranei, magari accompagnata da un buon bicchiere di vino. A fare il punto sul business della Pasta, uno degli alimenti che più rappresenta l’Italia nel mondo, è una ricerca di Aidepi (Associazione delle Industrie del dolce e della pasta italiane) che ha analizzato la pasta artigianale italiana che viene esportata, ovvero il 56% di quanta ne viene prodotta nella penisola. La quasi totalità dei pastifici italiani destina parte dei prodotti all’estero. Molto meglio della media delle aziende agroalimentari, che si fermano al 10%. Complessivamente negli ultimi 25 anni si mangia ovunque sempre più pasta made in Italy. Aumentano i Paesi dove viene esportata – sono 200 circa, +34% – per 2 milioni di tonnellate totali (erano 740mila). E alcuni di questi sono ormai mercati maturi.
In Europa quasi 3 piatti di pasta su 4 arrivano dai pastifici tricolore. Con Germania, Francia e Regno Unito ai primi posti: qui si consumano in un anno 1 miliardo di piatti di pasta, per un controvalore di circa un miliardo di euro. È un alimento ormai sdoganato. Ovvero non viene più percepito come un piatto “etnico” che si ordina solo al ristorante. Ma ha un posto fisso nelle dispense della cucina: lo mangiano regolarmente il 97% delle famiglie francesi, il 90% delle tedesche e l’81% delle inglesi (dati Mintel). Bene anche Spagna, dove l’export ha registrato il +22%, Belgio (+14%), Ucraina e Bielorussia (+32%) e Lituania (+52%). Segnali incoraggianti, dopo la caduta degli ultimi anni, arrivano dalla Russia, dove l’export di pasta torna di segno positivo: 23mila tonnellate e una crescita prossima al +9%.
È proprio in Francia che – soprattutto tra i Millennials – inizia a diffondersi l’abitudine di mangiare la pasta al dente, fino a tre volte a settimana. Ma in tutte le fasce d’età il consumo è cresciuto esponenzialmente negli ultimi anni. Spopolano gli spaghetti, che sono arrivati a toccare gli 8 chili pro capite, il doppio rispetto a 25 anni fa. Anche nel Regno Unito le performance non sono da meno: è il secondo mercato per l’export di pasta italiana. Gli inglesi non ne mangiano molta (3,5 kg procapite), ma un’analisi di Defra (Department for environment, food and rural affairs) mostra che un piatto di pasta a settimana è un rito ormai consolidato anche Oltremanica. È sempre più spesso consumata con il vino, che sta scalzando la birra. Gli inglesi hanno una passione per gli spaghetti al ragù di carne, ma iniziano ad apprezzare il pesto.
Oggi in Germania, primo sbocco dell’export di pasta tricolore, si mangiano oltre 700mila tonnellate di pasta e la metà è italiana. I tedeschi la mixano con altri alimenti. Sono ancora distanti dall’ideale mediterraneo. Sulle loro tavole troviamo pasta-kebab, pasta come contorno a piatti di carne e pesce, o addirittura pasta alla marmellata come dolce.
Quello che gli europei cercano a tavola risponde sempre di più a un ideale di piacere, gusto, qualità, sicurezza e salute. È quello che risulta da un’indagine Doxa su 2.800 consumatori europei tra italiani, francesi, inglesi e tedeschi.
“La pasta piace a quanti hanno un approccio etico al cibo – spiega Luigi Cristiano Laurenza, segretario dei pastai italiani di Aidepi – per un recente studio Nielsen 2 consumatori su 3 sono disposti a pagare di più pur di avere un prodotto attento all’ambiente, e la pasta ha una impronta ecologica minima e un packaging completamente riciclabile”. La scelgono “i più attenti al benessere, e infatti crescono tutte le nicchie salutiste, dal biologico all’integrale, al gluten free e così via, segno che sta venendo meno il vecchio pregiudizio che faccia ingrassare”.
I pastai si sono adeguati alla domanda. E sugli scaffali troviamo già da anni prodotti che rispondono a queste richieste. “In un mercato sempre più competitivo, con nuovi e più aggressivi concorrenti, possiamo vincere solo puntando sulla qualità”, puntualizza Laurenza, facendo riferimento a fenomeni come quello dell’Italian sounding: produttori stranieri che immettono sul mercato pasta che imita il Made in Italy utilizzando nomi, denominazioni geografiche, immagini, riferimenti cromatici e marchi che evocano l’Italia. Ma che di italiano non hanno niente. Senza contare che Paesi come Turchia e Egitto iniziano davvero a essere percepiti come competitor forti che erodono nostre quote di mercato con prezzi bassi e concorrenziali
@caterinamarconi
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