Le vendite del vino made in Italy sui mercati internazionali hanno registrato un interessante sprint iniziale a ridosso del 2020, seguito da risultati, altrettanto incoraggianti, nel corso del primo quadrimestre dell’anno. Gli Stati Uniti si posizionano in testa alla lista, come il primo paese di destinazione del vino tricolore, grazie alla crescita della domanda interna, a buon rapporto qualità/prezzo, disponibile sui canali di vendita online e quindi consumabile direttamente a casa, ed in più promosso in maniera crescente attraverso strategie digitali sempre più interattive che puntano a ridurre al minimo le distanze geografiche tra produttori e consumatori. Prospettive per il prossimo futuro? È previsto un andamento altrettanto positivo anche per la seconda metà dell’anno (a meno che un eventuale secondo lockdown possa provocare effetti retroattivi non di poco conto). Ripercorriamo insieme il tutto con maggiore dettaglio.
Nonostante l’improvviso rallentamento economico generato dalla pandemia a livello globale, i vini italiani hanno alimentato nel primo quadrimestre del 2020 la domanda crescente dei principali mercati di sbocco extra Eu, Stati Uniti, Canada, Russia, Giappone, Cina, Svizzera e Brasile, verso i quali è destinata la metà delle esportazioni dei vini italiani.
I dati forniti dall’osservatorio Vinitaly-Nomisma Wine Monitor mostrano una performance nel complesso positiva nella quale il vino italiano, contro ogni aspettativa, ha registrato un incremento del +5,1% nelle vendite verso i Paesi non europei, alimentato principalmente dagli Stati Uniti, verso i quali le vendite hanno raggiunto valore 613 milioni di euro, intensificando l’export del +10,8%, e dal Canada, verso il quale le vendite hanno registrato importi pari a 116 milioni di euro, rafforzando l’export del +7,1%. Il tutto va a discapito del principale Paese concorrente, la Francia, che, d’altro lato, ha invece registrato un andamento negativo del -10.1%, indietreggiando nei principali mercati di sbocco occidentali e orientali.
Sebbene la situazione così presentata sembrerebbe favorire l’export del vino made in Italy nei mercati esteri, non bisogna tuttavia rilassarsi: nei prossimi mesi, secondo i dati dell’osservatorio, la crisi continuerà a pesare fortemente sui prodotti di lusso, incluso il vino, che risultano essere le categorie di prodotto che risentiranno, da un lato, del minore potere d’acquisto della domanda, e, dall’altro, delle attività di smaltimento dei prodotti invenduti da parte di ristoratori ed importatori.
Tuttavia, è importante aggiungere che l’impatto negativo atteso continuerà ad essere più contenuto rispetto agli altri paesi produttori. “I dati di Aprile” fa notare il direttore dell’osservatorio Vinitaly-Nomisma Wine Monitor, Denis Pantini “parlano di un mercato made in Italy in calo ma che sembra rispondere alla crisi in maniera più efficace dei suoi competitor. Il mancato crollo nel mercato statunitense, manifestatosi a seguito dell’applicazione delle ulteriori tariffe doganali sulle etichette francesi, la maggiore presenza dei prodotti tricolore nella GDO dei mercati oltreoceano ed un migliore rapporto qualità prezzo, hanno sicuramente favorito il vino italiano ai tempi del Covid-19”.
Gli Stati Uniti come potenziale fonte di ripresa
Secondo le analisi condotte dal Vinitaly-Nomisma, la ripresa potenziale può arrivare nel medio termine dagli Stati Uniti in cui l’Italia sta guadagnando fasce di mercato in maniera sostanziale (passando dal 31.4% al 34.2% nel pieno della pandemia), in particolare, in corrispondenza della fascia di prezzo compresa tra gli 11 e i 20 dollari, segmento in cui le etichette tricolore sono ben presenti e molto competitive. Inoltre, come fa notare il responsabile dell’Osservatorio Vinitaly-Nomisma Wine Monitor, Denis Pantini, “le vendite di vini fermi italiani nell’off-trade (gdo e liquor store) statunitense hanno raggiunto i 94 milioni di litri, che rappresentano solo il 40% delle importazioni totali della tipologia.”
Questi dati in effetti rispecchiano perfettamente le nuove abitudini di consumo della popolazione statunitense che, invitata a rispettare le procedure di “shelter-in-place” a livello nazionale, ha iniziato a fare scorta di vino, nonché birra e liquori, presso i supermercati, sia usufruendo del servizio di pick-up nel punto vendita che di consegna a domicilio.
Secondo le analisi realizzate da Nielsen, durante le sette settimane che hanno preceduto il 18 Aprile (in piena pandemia, insomma), le vendite di alcol presso i punti vendita sono incrementate del 21%, mentre le vendite online sono aumentate vertiginosamente del 234% rispetto all’andamento registrato lo scorso anno. Dalle indagini è risultato che le bevande alcoliche hanno rappresentato, tra tutte le categorie dei prodotti di largo consumo, quella che ha registrato la crescita più rapida sul canale digitale.
In risposta ai blocchi indetti dalle autorità governative nazionali, fa notare Max Miller, presidente di uno dei principali rivenditori online di settore di origine britannica Naked Wines, sempre più persone hanno approfittato della comodità degli acquisti online di vino e dei servizi di consegna a domicilio per stare al sicuro e non rinunciare ad un bicchiere di vino direttamente nel salotto di casa.
“Abbiamo assistito ad una crescita senza precedenti nella domanda dei nostri vini. E non ci aspettiamo che la situazione ritorni ai livelli che si registravano prima della pandemia” aggiunge giustamente Miller.
Secondo Rich Bergsund, presidente dell’e-commerce californiano Wine.com, a partire dal 28 Marzo, il fatturato è quadruplicato a più di 1 milione di dollari al giorno, salendo a quota 40 milioni di dollari nel mese di aprile. Attendendosi un incremento ulteriore di vendite per il primo quadrimestre, Bergsund ha dovuto assumere ben 500 persone in più ed ha triplicato gli investimenti di marketing.
Le strategie digitali per intensificare le vendite online
I risultati interessanti delle vendite online suggeriscono la possibilità, anzi la necessità, di attivare delle strategie di promozione e di comunicazione che incrementano in maniera incisiva il rapporto del consumatore finale con l’azienda produttrice.
Per alcune cantine statunitensi tutto questo non è di certo una novità ed il cambiamento e la trasformazione richieste dai nuovi consumi sui canali digitali sono già in atto da un po’.
“L’e-commerce stava diventando per l’industria del vino un’opportunità che si sarebbe concretizzata inevitabilmente prima o poi. L’arrivo del Covid-19 non ha fatto altro che accelerare questo processo”. Queste sono le parole di Justin Noland, da due anni a capo della strategia digitale e dell’e-commerce presso Wente Family Estates (https://wentevineyards.com/), una delle più antiche cantine statunitensi a conduzione familiare fondata nel 1883 e situata nella Livermore Valley, in California. “Le cantine che sono ben più preparate ad assorbire questa ondata digitale sono quelle che hanno ottenuto il meglio da questo periodo così delicato e sono quelle che sono destinate a fare sempre meglio anche dopo la pandemia”, aggiunge Noland.
Quello che Wente sta organizzando recentemente è un insieme di iniziative di natura virtuale volte ad avvicinare il consumatore al brand e alla cantina in tutte le sue particolarità: con Alexa o Google Home, Wente organizza dei tasting virtuali che permettono al consumatore di focalizzarsi sul vino che stanno assaggiando e su se stessi, piuttosto che focalizzarsi su uno schermo; con Facebook ed Instagram, la famiglia Wente è in collegamento con la sua audience ogni mercoledì con episodi settimanali chiamati “Wine Wednesday” (o Mercoledì del vino); con la cartolina virtuale #Maketime Bingo, la cantina punta a creare un ottimo livello di engagement invitando i consumatori a completare una serie di attività postando sui social i propri risultati, preferibilmente brindando con un bicchiere di vino a marchio Wente!.
Noland ci tiene a precisare che le attività svolte hanno anche un fine ultimo che è quello di informare il consumatore, nonché renderlo partecipe di tutto quello che l’azienda può offrire: “L’enorme vantaggio che deriva dalla partecipazione di questi eventi è che si può apprendere tanto sulla cantina, gli uvaggi, le tecniche di produzione e le persone che ci sono dietro. Ed inoltre, si può acquistare il vino preferito o si può esplorare un range enorme di lotti di produzione che normalmente sarebbero difficili da acquistare, e tutto questo stando in pigiama comodamente a casa!”.
Un’altra interessante iniziativa è stata programmata da Duckhorn Wine Company in St. Helena, in Napa Valley California. La cantina sta letteralmente portando la regione vinicola nelle case delle persone, attraverso la pianificazione di tasting virtuali organizzati per gruppi limitati di persone guidati da un “wine maker” o enologo. In questo modo la cantina, riconosciuta come uno dei principali produttori di vino della Napa Valley del North America, ha registrato nelle ultime settimane un incremento delle vendite online di circa 250%, come dichiara Carol Reber, chief marketing officer.
Le iniziative si sono estese poi anche ai punti vendita che, sfruttando la convenienza e la praticità dei social media, azzerano le distanze con i propri fornitori presenti oltreoceano. Caso interessante è sicuramente il Winery Tour Live organizzato da Eataly Vino, il reparto di Eataly localizzato nel celeberrimo store Eataly Flatiron di New York. Si tratta di una serie di appuntamenti settimanali (solitamente il sabato) in cui i consumatori americani più appassionati di vino italiano possono conoscere di persona i produttori che li guidano virtualmente tra i più bei vigneti d’Italia!
Cosa attenderci nel prossimo futuro?
Nel 2020, negli Stati Uniti, primo mercato del vino del mondo, e primo paese di destinazione del vino italiano, ci si attende che la popolazione berrà più o meno la stessa quantità di vino di sempre e ci si prospetta un crollo dei volumi di vino consumato fuori casa (le stime si attestano a -29% per la fine dell’anno) che verrà completamente assorbito dalla crescita del consumo domestico (le stime si attestano a +10% rispetto allo scorso anno). Il cambiamento, tuttavia, si manifesterà sul valore complessivo del fatturato, che potrà ridursi in maniera significativa dal momento che il consumo sarà centrato maggiormente su vini che hanno un migliore rapporto qualità/prezzo.
Questo è quanto prevede Wine Intelligence, società di consulenza specializzata nell’industria del vino, la quale ha effettuato una ricerca incrociata con i dati pubblicati con altre analisi di mercato condotte dai grandi colossi del mercato quali Nielsen, IWSR, Wines & Vines Analytics.
“In linea con quanto è successo durante la crisi finanziaria del 2008/2010, i volumi di vino consumato negli stati Uniti rimangono sostanzialmente stabili” commenta Lulie Halstead, CEO di Wine Intelligence, “tuttavia il mercato si orienterà verso marchi che sono meno costosi, favorendo i quelli che sono di portata più ampia, di produzione domestica o importati.” L’incremento delle tariffe doganali su alcune principali etichette e l’importanza dei vini domestici nelle vendite sul canale D2C o Direct to Consumer hanno già apportato delle limitazioni su molti marchi e cantine attive nel mercato americano ed è possibile che un tale andamento si manterrà costante nei prossimi mesi.
Tuttavia, c’è da precisare che tali prospettive potrebbero non concretizzarsi nel caso in cui una seconda ondata di Covid-19 andrà ad impattare nuovamente il mercato americano. Se ciò si verificasse, dovremmo diversamente attenderci un ulteriore lockdown nel periodo compreso tra Ottobre e Novembre del 2020 e conseguentemente un crollo dei consumi complessivo del -2/-3%. In questo scenario purtroppo, i consumi domestici non potranno controbilanciare un’addizionale caduta dei consumi fuori casa, che potranno raggiungere quota -50% rispetto allo scorso anno.
In ottica positiva e propositiva è fondamentale dunque, organizzarsi al punto tale da alimentare le vendite sul mercato statunitense attraverso due linee di azione: da un lato, prendendo spunto dai principali produttori della California, in ottica B2C, sarà più che indispensabile pianificare e realizzare campagne digitali che accrescano brand awareness presso i consumatori oltreoceano e, dall’altro, in ottica B2B, sarà fondamentale intensificare la relazione con i propri partner commerciali (importatori e distributori) al fine di conoscere più nel dettaglio la rispettiva rete vendita (nello specifico, i canali di sbocco finali del proprio prodotto) e di conseguenza elaborare nuove strategie di prezzo e nuove offerte promozionali maggiormente customizzate.
Fonte: Maria Chiara Migliaro
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